FUNZIONALISMO
Il movimento funzionalistico – la “Scuola di Chicago” – fa parte della nuova cultura nordamericana e si presenta come un sistema composito ed eterogeneo, tollerante nei confronti della filosofia, della storia, della letteratura, dell’arte, dell’antropologia comparata (anticipa il contemporaneo interdisciplinarismo) e delle altre prospettive psicologiche. A cominciare dall’istanza evoluzionistica dell’opera di William James, psicologo americano – nel suo Principi di psicologia (1890), per la prima volta, viene sottolineata la rilevanza delle teorie di Darwin e di Spencer.
E proprio facendo esplicito riferimento a queste teorie che gli psicologi funzionalisti considerano l’organismo umano come l’ultimo stadio del processo evolutivo e i processi mentali come supporto all’adattarsi nell’ambiente di tale organismo. Non è interessante, quindi, scoprire il contenuto dellamente, la natura dei processi mentali, ma bensì, soffermarsi sulle loro operazioni e rispettive funzioni. Inoltre, scompare il dualismo “mente-corpo” (parallelismo psicofisico di Wundt e Titchener) perché processi mentali e processi biologici sono espressi dallo stesso organismo. Da un tale punto di partenza si riesce già a delineare una notevole diversità tra strutturalismo e funzionalismo: i primi si limitano a descrivere la struttura della mente e affidano ai biologi il compito di spiegarne le funzioni; i secondi, invece, vestono sia il ruolo di psicologi che di biologi, descrivendone e spiegandone sia la struttura che le funzioni.
Sicuramente, l’oggetto di studio della ricerca psicologica funzionalista è il «comportamento adattivo», che comprende l’analisi delle attività mentali relative all’acquisizione, all’immagazzinamento, all’organizzazione, alla valutazione e alla successiva utilizzazione delle esperienze ed è caratterizzato da 3 componenti:
- stimolazione motivante, interna o esterna all’organismo (x es. la fame);
- situazione sensoriale (x es. vista e odore di cibo);
- risposta che soddisfa le condizioni motivanti (x es. mangiare).
La coscienza riveste un ruolo importante, perché costituisce il massimo esempio di adattamento biologico: essa emerge quando il comportamento è ostacolato da eventi problematici – siamo coscienti quando comincia a formarsi una nuova abitudine – e, una volta svolto il proprio ruolo adattivo, tende a eclissarsi e a farsi sostituire dagli automatismi comportamentali – diventiamo meno coscienti con il progressivo consolidarsi dell’abitudine stessa.
Esistono, comunque, anche dei comportamenti non adattivi, descritti in termini di stimolo-risposta.
Si notano, poi, anche altri rilevanti influssi, come quello proveniente dalla filosofia pragmatistica di Mead, Moore e Dewey, attraverso il quale il funzionalismo sferra un forte attacco all’elementismo.
Sostanzialmente, solo un principio viene preso in prestito da questa filosofia: il globalismo. Secondo Dewey l’arco riflesso non è scomponibile in due entità indipendenti (stimolo e risposta), ma costituisce un anello unitario di un’ininterrotta catena di altri archi riflessi; quindi, ogni attività dell’organismo deve essere intesa come un processo globale e continuo. Tuttavia, è lecito sottolineare la differenza “funzionale”, e non “esistenziale”, tra stimolo e risposta – essi svolgono operazioni diverse per raggiungere, però, lo stesso scopo, adattare, cioè, l’organismo all’ambiente.
Di conseguenza, la definizione di funzione mentale adottata dai funzionalisti è: «attività globale, non scomponibile, di natura dinamica ed adattiva».
Come Titchener, anche i funzionalisti analizzano in modo più approfondito i principali processi mentali , in questo contesto già definiti più volte “funzioni” di natura adattiva, che sono: sensazione edemozione – estrapolate proprio dalla teoria titcheneriana – percezione, motivazione, apprendimento e pensiero.
SENSAZIONE – diversamente dai strutturalisti, per i funzionalisti occupa un ruolo marginale, sebbene le riconoscono un valore adattivo, in particolare mediante l’abilità spaziale, che consente di localizzare gli oggetti nello spazio e discriminarne le dimensioni.
EMOZIONE – viene intesa in termini globali e non articolata in stati affettivi; i funzionalisti, inoltre, ammettono l’esistenza sia di emozioni a carattere adattivo (alcune, come la collera, hanno una funzione di riadattamento automatico che aumenta l’efficacia della risposta a situazioni particolari) che di emozioni “gratuite”, non direttamente funzionali o addirittura antifunzionali alla sopravvivenza.
PERCEZIONE – non equivale alla somma di sensazioni elementari, ma è un processo a sé stante; Carrla definisce: «cognizione di un oggetto presente in relazione a un qualche comportamento adattivo».
MOTIVAZIONE – i funzionalisti le attribuiscono grande importanza e Carr la definisce come: «un qualsivoglia stimolo relativamente persistente che domina il comportamento fino a quando l’individuonon reagisce in modo da soddisfarlo».
APPRENDIMENTO – è uno dei principali oggetti di studio (la sua importanza equivale a quella della sensazione per lo strutturalismo), definito come la funzione adattiva per eccellenza, che consiste in: «acquisizione di appropriate modalità di risposta a situazioni problematiche presenti nell’ambiente, che hanno valore di sopravvivenza». Se tale definizione globale è un’esclusiva dei funzionalisti, la spiegazione dei meccanismi interni viene estrapolata dalla tradizione associazionistica di Thorndike; Carr infatti propone la famosa “legge dell’effetto” (1905): il rafforzamento o la dissociazione di una qualsiasi connessione stimolo-risposta deriva dall’effetto – piacevole o sgradevole – che la risposta produce. Viene fatta però una precisazione. Se per Thorndike l’apprendimento avviene “per prove ed errori”, in modo casuale, per i funzionalisti, ad uno stimolo l’organismo risponde in maniera selettiva ed analitica sin dal primo impatto.
PENSIERO – inteso come flusso continuo e non sezionato in immagini, anche in questo caso viene evidenziata una funzione adattiva (esempio: il pensiero di un esame può indurre nel soggetto una preparazione più adeguata, per vivere ed adeguarsi meglio a quella situazione).
Anche per quanto riguarda il metodo, si differenziano dagli strutturalisti, limitati al solo uso dell’introspezione e adottato un certo eclettismo metodologico: valorizzano la sperimentazione in laboratorio, anche se la praticano in modo poco sistematico, adoperano il metodo genetico, ma preferiscono in particolare il criterio osservazionale puro (osservazione soggettivistica).
Diversamente da quanto accade per lo Strutturalismo, una volta estintasi la Scuola di Chicago, per opera dell’ascesa del Comportamentismo (1913), il movimento funzionalistico è in qualche modo sopravvissuto, fino ad influenzare la psicologia di oggi.
Sicuramente il comportamentismo watsoniano funge quasi da filtro, appropriandosi, da un lato, di tematiche originali, quali lo studio dell’apprendimento e l’istanza utilitaristica, e sbarazzandosi, dall’altro, di numerose componenti filosofiche, come la teoria della conoscenza di James e l’influsso prettamente filosofico di Dewey.
Tuttavia, alcuni frammenti sfuggono a questa ispezione, per inserirsi nel panorama della psicologia, dagli anni ’20 ai giorni nostri. Il concetto di funzione viene assimilato dal gestaltismo e dal cognitismo del problem solving; l’unità psicofisica giustifica lo sviluppo della psicofisiologia; la totalità dei processi mentali non si contrappone alla nozione di attività mentale inconscia introdotta dai sistemi psicoanalitici; il concetto di adattamento all’ambiente e il termine funzione sono stati introdotti nel panorama della psicologia odierna. Inoltre alcune tendenze contemporanee sono inequivocabilmente neofunzionalistiche: il “funzionalismo probabilistico” di Brunswik (1940-50); nelle ricerche sulla percezione viene sottolineato il ruolo dell’apprendimento, dell’aspettativa, della motivazione, dei fattori affettivi; i ricercatori, oggi, prediligono l’indagine sul campo perché non approvano l’artificiosità del laboratorio.
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